Saturday 13 November 2010

I DOLORI DEL GIOVANE EUROPEO

Molto si è parlato e scritto di questa generazione di ventenni che guarda all’Europa come alla propria casa. Generazione Erasmus la chiamano, perché spesso è proprio così che tutto comincia.

La prima esperienza all’estero è da tutti decantata come un bellissimo trampolino di lancio: tutte quelle feste, le piccole sfide da affrontare in una lingua diversa, tutte quelle persone nuove, insomma un’avventura quotidiana. In pochi mesi da giovani ed inesperti studenti universitari, si trasformano in impavidi viaggiatori. Poi tornano, e la loro città non gli sembra più la stessa. Appare piccola, senza vita. Allora passano giornate di fronte al pc cercando ogni borsa di studio, bando o possibilità per partire ancora. La meta non importa nemmeno più: serve solo cambiare aria. Quando ripartono la seconda volta, le paure sono attenuate, mentre le aspettative s’impennano. Alla terza, partire non è più un grande passo, ma solo un'altra avventura: posto nuovo, gente nuova, lingua nuova. E poi diventa come una droga, e non ci si riesce più a fermare. E dopo la specialistica all’estero cercano master, dottorati o stage. Per fare esperienza no? Non è quello che il mondo del lavoro domanda loro? Flessibilità, internazionalità ed esperienza. Tutto fa curriculum gli dicono. E allora concorsi e candidature a tutto andare, pianificano la propria vita con almeno sei mesi d’anticipo per preparare tutto il necessario per passare alla prossimo capitolo, magari pure fuori dall’Europa. Si affannano, i nostri, fanno la staffetta da una nazione all’altra di sei mesi in sei mesi, ma a loro sembra ne valga la pena ed è ancora tutto molto eccitante.

A casa passano qualche volta, giusto per le vacanze o se arriva l’occasione di un volo low cost. Casa…chissà poi se il luogo dove sono cresciuti possono ancora chiamarlo casa. Forse è solo una “casa-base” perché con tutto quel viaggiare ciò che resta loro è una famiglia e qualche stretto amico che non li molla, nonostante il loro eterno vagare. Eppure, eppure quando tornano, i primi giorni sentono quel profumo, quel calore che nessun posto trasmette loro. Bastano, tuttavia, pochi giorni perché il piacere accogliente svanisca e la frenesia della partenza, di una vita indipendente torni prepotente. E’ il momento di ripartire. E allora valigie, traslochi, e addii.

Si parla spesso infatti del lato positivo del loro andare, fanno esperienza, rafforzano lo spirito, aprono la propria mente a diversità e culture. Quello su cui non ci si interroga mai è il motivo del loro continuo andare. Se come diceva Thomas Mann “Chi è felice non si muove” perché i nostri sono sempre in partenza? Cosa cercano? Cosa fuggono?

Incontriamo Eleonora e Martina, due amiche in esilio volontario dall’Italia. L’una fa la spola tra Germania, Danimarca ed Inghilterra, l’altra balza ad intermittenza dalla Francia al nord Europa. Si sono conosciute ad un corso estivo all’estro quattro anni fa e da allora si scambiano consigli e confidenze sulle loro vite “altrove”.

Ri-partire

E: “Al ritorno dal mio Erasmus, avevo ben chiaro che una specialistica in Italia non era quello che volevo. Volevo migliorare il mio tedesco e, visto il periodo, rendere il mio curriculum accattivante. Così mi sono iscritta alla Von Humbolt a Berlino. Per superarli mi facevo forza pensando che prima o poi i frutti di questa frustrazione li avrei raccolti. (…) A volte mi domando se sono davvero felice di spostarmi ogni sei mesi, oppure se e' proprio una sfida con me stessa...e voglio solo vedere fino dove posso arrivare…

M: “Anche io ho cominciato con l’Erasmus, ormai 4 anni fa, e da allora ho vissuto numerose partenze e di conseguenza, numerosi addii. Dopo un po’ le valigie e gli aerei non fanno più tanta paura: le differenze culturali fanno piacere, abituarsi ad altri ambienti viene naturale. Si impara ad accettare senza per forza condividere. Questo è molto bello. Anche se poi, ahimè, questo non implica automaticamente la felicità. Sono più “i ritorni” ad essere traumatici. Abitudine tuttavia non significa per forza serenità. Sai, dopo qualche anno via mi sento un po’ senza radici: i miei amici in Italia hanno la loro vita, lo stile cui mi sono abituata è molto diverso da quello che avevo prima di partire. Io ero molto diversa.

Home, Hus, Haus, Casa?

E:”Non è stato facile, tralasciando le difficoltà di farsi degli amici, cavarsela da sola in una città che non conoscevo, lo scoglio più duro è stata la struttura del sistema universitario tedesco che è totalmente diversa da quello italiano, perciò ci sono stati molti momenti di sconforto, soprattutto all’inizio, quando il solo capire cosa richiedessero dai miei lavori sembrava impossibile. E il desiderio di un ambiente accogliente e non-straniero aveva il sopravvento.

M: “ Da quando sono partita la prima volta, ho numerose città in Europa che sono state la mia casa. Forse ho avuto troppe houses e nessuna home. Tornare in Italia è strano: dopo qualche anno via mi sento un po’ senza radici: i miei amici hanno la loro vita, lo stile cui mi sono abituata è molto diverso da quello che avevo prima di partire. Io ero molto diversa. Mi viene da dire che sono “i ritorni” ad essere più traumatici delle partenze.

Ma l’Italia?

E: L’Italia e gli italiani mi mancano, ma penso non ci tornerò molto presto. Con tutta la fatica che ho fatto, non mi va di tornare per un lavoro sottopagato e una vita poco serena.

M: Ogni tanto la nostalgia arriva. Nostalgia delle nostre città piene di storia. Frustrazione nel non poter condividere con gli amici una parte della tua cultura, che rimane per gli stranieri incomprensibile. Credo rimarrà il mio luogo prediletto per le vacanze.

Partire o Restare?

M: Tra tutte le volte che sono partita, a volte mi sono sentita costretta dal pensiero “non puoi non approfittare di quest’occasione”, altre, confesso, ho visto in una nuova meta una scusa per scappare la noia o una situazione in cui non mi sentivo a mio agio. […] L’eccitazione è sempre il primo sentimento che mi pervade quando leggo di una nuova possibilità in un altro paese, ma poi mi arrivano alla mente i lati stressanti della partenza e il solo pensiero di una nuova partenza è stressante. Cercare casa, abituarsi a nuovi coinquilini, farsi degli amici. Crearsi una nuova vita tutto da sola è difficile, richiede tempo, pazienza e impegno. Ma adesso basta sentieri non battuti: voglio trovare il mio posto nel mondo, almeno per qualche anno.

E: Io non so cosa farò, dipende dalle possibilità, dalle opportunità, oppure solamente dal vento. Sarebbe ora di trovare un lavoro da qualche parte. Credo la prossima volta in cui cambierò città sara'anche per amore. Direi che mi sono messa alla prova abbastanza e ora preferisco affrontare l'ennesimo spostamento con qualcuno al mio fianco. Un paio di anni di stabilità mi rimetterebbero in sesto e forse, dopo tutto questo correre, riuscirei a capire non quello che voglio fare, ma ciò che voglio essere. Ora come ora questo è, poi, tra sei mesi, chissà…

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