Friday 28 May 2010

Waiting for the Karnival

1. Jeg er færdig (i am done) with my semestral project.
2. Perfect song (well, just for the title, and the scandinavian sound) before the famouz Aalborg Karnival. I got the album Life from the Cardigans when I was 13. It was my brother's Christmas present. Ja, I was already a scandinavian fan.



3. So, in this moody lazy afternoon people are busy thinking about their crazy costumes for the parade, while I have found the topic of my Master thesis.
Months ahead yeah, maybe because i have someone close who keeps on saying that one needs to plan...well, I definitely got the Danish-planner way now.
So i'm going to write about a city (maybe Kbh?) and the relation with the musical scene and the impact on its identity. Something within the area called Urban Studies, i guess.
While looking for some literature i have found this American guy who's really into cities :)
He claims that in a globalized world, the place where one decides to live is more and more important. The book is Who's your city? by Richard Florida. I'm curious to read it.
In the meanwhile though, I did a test I've found on his website. The results are not exactely encouraging for me and my future déplacement, but the cities I've considered are quite different in size and they are in different country! So the outcome was fairly obvious. But, somehow it can help having an idea, in particular, if the cities are in the same country, and differences are not due to culture.

E.

Sunday 23 May 2010

SPOT festival

Just back from a weekend in Aarhus full of concerts and music.
For the moment just a bite of an Icelandic band that offered an amazing gig. The audience was crazy about them, forty minutes of dancing and jumping. Later, leaving the concert hall and heading some other scenes, everybody was just singing this melody. Frankly, it took me sometime to get rid of it in my head as well.

I wish i had a house in the Carrabean

Væresgo!




E.

Thursday 20 May 2010

Why that is a hopeless country

Now I know why Italy is a country in decline.
Besides mafia, corruption, nepotism and castes there's another thing, which is bringing us down. And this one really belongs to ALL Italians. It's the fascination for the power. Every single person with a tiny bit of power tends to put oneself to a higher level and to consider the others as subordinated. It doesn't matter how uninfluent they are on a bigger scale, if one people can somehow show that he's the one with the power, be sure that he will make you know, in someway. So, you're the one who has to ask, kindly ask, always, even when it's you offering something to them. It's exactly the way it goes during a job interview: you're not a resource, it's you the one who needs them, so hiring you it's just a favour they are doing to you. While it's ***** the other way around. That is why our country is all messed up, and young people run away from there. Meritocracy or not, the thing is that everybody is so full of oneself, that, even if he doesn't count anything, he can't see anything good besides oneself.
Italy is working so upside down that employers make you feel grateful because they offered you a not-paid internship!!! The problem is that until you don't go abroad and you see how's the rest of the world going, you really feel happy for the free job you got!
So i am still here, in this cold and drunk country. Where people are maybe a bit rough, with no fine tastes in kitchen or clothes, but well, who cares? Here my job is appreciated, but first of all, i don't have to sell my dignity to get one.

E.

Monday 17 May 2010

Sunday 16 May 2010

You used to be my...

Yesterday i was attending the party of a friend. The kind of party where everybody is very drunk, and you're way behind them, so you can't fit in there, and you don't even rush to get their high alcoholic level. So i was just sitting on the floor talking with some friends when the computer played a song. I knew it, it was quite a radio hit, but i did not remember the band. It sounded like summer, an old summer. I thought i was a teeneger, right in the middle of that age, when you're so tasteless. I wouldn't say it is a good song, but for those three minutes some nostalgic feelings came to my mind. And i liked it.

Well, finally, it was Basement Jaxx, 2001.



E.

Tuesday 11 May 2010

Tuesday morning

Awesome old song,
for a happy-busy-half cloudy Danish tuesday.





E.

When Life sounds like Europe

Apparently i did not win the Transeuropa award.
However, i am quite proud of my piece of creative writing.
Here's the original version in Italian.


-Quando la vita suona come Europa-


Ho due passioni nella vita: la musica e il viaggio. Semplicemente, per me, l’uno non può esistere senza l’altro. Si alimentano a vicenda, e alimentano me e le mie giornate. E’ per questo che una fredda sera di un nevoso ed insolito dicembre, ho preso in grembo il mio pc ed ho cominciato un accurato lavoro d’archivio. L’intento era semplice di per sé, ma rappresentava una piccola impresa per quella che si era aperta come una serata decisamente abbacchiata: ripercorrere i miei ultimi quattro anni di vita da nomade in Europa catalogando i periodi in base alla musica che vi aveva fatto da sottofondo. Una sera d’evasione, mentale e sensoriale, un viaggio nel tempo e nello spazio, guidata dalla più personale delle colonne sonore.
Ho aperto un documento nuovo e ho iniziato a scrivere:

Somer-Vinter 2007-2008, Aarhus DK

Come per molti, anche il mio rito di passaggio oltre i confini della mia italianità e verso un’identità europea fu segnato dal celebre progetto Erasmus. Correva l’anno 2007 e frequentavo il terzo anno di lingue e letterature straniere a Bologna. Avevo sempre provato un’innata simpatia per i civili ed avanzati paesi scandinavi, in particolare per la Danimarca, la quale mi sembrava abbastanza a nord da essere una nazione efficiente, ma allo stesso tempo ancora in parte culturalmente ancorata al continente. Le mie paure pre-partenza erano più legate al rischio d’incorrere in una cocente delusione vedendo il mio sogno di paese ideale andare in fumo, di fronte ad una realtà che non combaciava con l'immagine idilliaca che mi ero creata.
Ad Aarhus ho vissuto per nove mesi in uno studentato, dove condividevo la cucina con dei ragazzi danesi e uno spagnolo e dove ho conosciuto la Danimarca in tutte le sue sfaccettature: quelle che mi sono rimaste nel cuore e quelle che tutt’ora non riesco a condividere.
I primi mesi sono stati entusiasmanti: frequentavo le quotidiane feste Erasmus, dove immancabile era l’intro fischiettante di Young Folk (Peter Bjorn and John) diventata poi canzone riferimento di quel periodo. Sapeva di pop dai colori pastello, di quella spensieratezza di cui la dolce ala protettrice del welfare state danese privilegia i suoi giovani, permettendo loro di vivere la propria gioventù in pienezza, senza fretta di diventare adulti. La ascoltavo a ripetizione e ogni giorno mi sentivo sempre più appartenere a quella società del paese di Andersen che tanto avevo sognato.
In quel periodo viaggiai molto, visitai luoghi in cui non ero mai stata e ricordo benissimo che, per la prima volta in vita mia, non avevo altri piani, e mi sentivo la persona giusta al posto giusto. Poi la routine mi raggiunse anche lassù, sperimentai allora la difficile vita dello straniero che non vuole chiudersi nella cerchia protetta degli studenti internazionali, ma fa esperienza della difficile integrazione coi nativi.
Quando i nove mesi della borsa terminarono, feci ritorno a malincuore in terra natia, dove mi aspettavano gli ultimi esami universitari prima della laurea.

Primavera 2008, Bologna-Bergamo IT

Non appena tornata a casa mi tuffai nei lavori per l’università, tenendo così la testa occupata. Anche se la famosa crisi post-Erasmus non esplose mai, serpeggiò in me per molto tempo, e credo sia stata proprio l’implosione del trauma ad amplificare l’inquietudine che iniziava a ribollirmi dentro. Come se non bastasse era anche ora di prendere delle decisioni, di pensare al mio futuro, ma avevo le idee troppo confuse. Ormai mi era chiaro che le lingue non si imparavano all’università, perciò sentivo il desiderio cambiare facoltà e forse anche città. Ma né Bologna né nessun’altra città italiana potevano più offrirmi l’ambiente e l’atmosfera a cui ambivo. La mia crisi -post si accompagnò alle musiche di In Rainbows l’album dei Radiohead, uscito sul finire del 2007. Con la sua minimale linea melodica in tono minore Videotape, che chiude il settimo disco del quartetto inglese, aprì il doloroso periodo del mio ritorno in Italia, segnando un periodo di sospensione in cui non mi sentivo più parte di niente, in cui il sentirsi inadeguata e avulsa da ogni contesto era il sentimento dominante.

Août 2008, Paris FR

Il mio periodo francese iniziò invece con un soggiorno parigino in solitaria, durante la stesura della tesi.
Quell’agosto, trascorsi venti giorni girovagando per vicoli e boulevard, mangiando baguettes e camembert sui gradini della Sorbona e scrivendo notturne riflessioni seduta sul Pont-Neuf. Un tentativo di vie de bohème in cui si alternarono momenti di fiero e produttivo isolamento ad altri in cui la noia e la frustrazione di non avere nessuno con cui condividere certe giornate avevano il sopravvento.
Ma la solitudine è parte del mestiere del viaggiatore, e se si vuole andare, s’impara presto a farci i conti.

Janvier-Avril 2009, Montpellier FR

Conclusasi con mio grande sollievo l’esperienza universitaria bolognese, approfittai della borsa offerta dal progetto europeo Leonardo e fuggii letteralmente a Montpellier, dove avrei presto iniziato uno stage presso un’agenzia di viaggi culturali. L’esperienza professionale non fu delle migliori, ma a dire il vero non era ciò che mi interessava. Volevo imparare il francese e vivere un’altra avventura. Per tre mesi vissi in una famiglia con un papà ed una mamma francesi che venivano a prendermi alla fermata del tram e che mi chiamavano quando facevo tardi. Ma ho anche preso il primo tram alle sei del mattino per andare a servire la colazione nell’albergo dove ho lavorato per qualche tempo. Seduta sul tram ancora deserto cercavo di caricarmi dei richiami electro anni ottanta di Kids dei MGMT per sopravvivere alla settimana ed arrivare presto all'agognato weekend. La melodia era così accattivante e vitale che ascoltandola sembrava già potessi godermi un apéro in una delle graziose e assolate piazzette del centro oppure accettare un invito mondano per una festa a tema kitsch, persa nelle campagne francesi.
A Montpellier capii quanto fosse difficile comunicare qualcosa di sé in una lingua diversa, quanto i miei rapporti interpersonali fossero depotenziati a causa della lingua. Viaggiando, infatti, si incontrano molte persone, ma saltando da un posto all'altro, come da una nota all'altra, instaurare rapporti profondi è molto difficile, anche a causa delle diverse culture. Diversamente dalla precedente esperienza danese, in Francia riuscii a farmi dei veri amici francesi. Grazie a loro sentii vibrare la vera essenza del celebre trinomio liberté, egalité, fraternité dalle parole di Un jour en France dei Noir Désir. Incontrai la storia di un paese che guidò l'Europa in tutte le sue rivoluzioni e che ora, sebbene persa la leadership, resta vigile, brandendo il vessillo dell'indignazione a suon di contestazione, in un'Europa certamente invecchiata ed anche un po' assopita.
E poi… e poi, al solito, ripartii.


Summer 2009, London UK

Ormai mi sentivo pronta per il grande salto. Un biglietto sola andata con l’obiettivo di un’estate londinese. A Londra fui per la prima volta economicamente indipendente. Ce la stavo facendo da sola, tutto da sola e mi sentivo al centro del mondo. Nonostante le difficoltà del primo mese, in cui persi un primo lavoro e per qualche giorno meditai un mesto ritorno a casa, i tempi migliori arrivarono e finalmente potei godermi le ricchezze che la metropoli offriva: mostre ogni giorno e concerti ogni sera. All’inizio non conoscevo nessuno ed il lavoro al ristorante impegnava quasi tutte le mie sere, poi trovai il mio giro.
La canzone che segnò il mio momento in e modaiolo a Londra è certamente Solo dei Chew Lips, una giovane band inglese che conobbi per caso, una sera al Pure Groove, un negozio di dischi della City. Era l'estate di un rock soft e glitter, compresso tra casti caschetti anni sessanta e pirotecnici beats anni ottanta. Catapultata nella capitale dell'eclettismo m’immersi in una città sempre sveglia ed in movimento dove si incontrano personaggi insoliti e stuonati, e si ascoltano storie inaudite. Ma dove soprattutto gli appassionati di musica possono alimentare il proprio orecchio con qualunque nota o ritmo possibile, perché nonostante siano passati trent'anni dalla famosa chiamata, Londra continua ad attrarre gli avanguardisti musicali da ogni angolo d'Europa e del mondo.
Nel mezzo di questo armonico soggiorno sperimentai tuttavia anche una nota negativa: questa volta senza più intermediari, dovetti sbrigare tutte quelle faccende burocratiche che ogni emigrante si trova ad affrontare, e anche a fare i conti con quelle rigide politiche d’immigrazione che da un giorno all’altro imbarcarono un mio collega brasiliano su un volo per Rio de Janeiro.

September 2009 - ?, Aalborg DK

Poi quando l’estate è finita, sono tornata alla vita agiata da studentessa universitaria espatriata.
Durante la primavera avevo mandato diverse domande per Master all’estero, talmente tante che ogni giorno compilavo una diversa tabella pro e contro che tuttavia risultava essere inutile, ed io sempre più indecisa. Finché poi comprai il biglietto di sola andata per Aalborg. Tornavo nella mia amata Danimarca. Ogni ragione razionale avrebbe detto Bruxelles, anch’essa tra le possibili mete universitarie, ed invece scelsi la piccola e sperduta Aalborg, che, lo dico per i profani, si pronuncia Olborg, o addirittura Olbo.
Tornavo in Danimarca del tutto cambiata però. Non ero più la studentessa in Erasmus alla quale essere all’estero e fare qualche festa bastavano a dare un senso al passare dei giorni. Questa volta volevo qualcosa di diverso. Volevo entrare nella vita della città, conoscere la gente di qui; insomma integrarmi. Ho iniziato con l’iscrivermi ad un corso di danese e frequentare dei corsi d’italiano per danesi dove a volte faccio da lettrice. Nel fine settimana poi, sono una volontaria alla StudenterHuset, la casa dello studente di Aalborg. Proprio qui, lo scorso autunno, fui folgorata dalle note di End of Scene di Troels Abrahamsen. Quel concerto decretò non solo l’arrivo della stagione invernale, ma soprattutto il mio non-più-ritorno dal mondo malinconico, minimalista ed intimistico della musica elettronica scandinava.
Ancora non lo sapevo, ma sarebbe stato un inverno insolitamente freddo e nevoso, lungo e buio, ma almeno avevo assicurato al mio letargo un delizioso sottofondo. Rimango sempre ammaliata nello scoprire come i modi e le tradizioni di un popolo influiscano sulla sua cultura musicale. In effetti, non stupisce che il fascinoso e mistico Nord sia produttore di suoni così apparentemente sterili e freddi, ma allo stesso tempo magnificamente intensi ed emozionanti. Un po' come i suoi abitanti: ruvidi ma sensibili.

Ogni tanto penso di averne avuto abbastanza di spostamenti e la voglia di fermarsi diventa più un bisogno che un desiderio, soprattutto quando il senso di sradicamento prende il sopravvento e mi mancano le forze solo pensando ad un ennesimo, nuovo inizio. Ma poi penso a quante città in cui ancora non ho vissuto, a quante culture ancora non ho assaporato, a quanto di molto ancora potrei allungare la mia personale colonna sonora. Ecco perché mesi fa, tra tutti i Master a mia disposizione scelsi di nuovo l’unico che, da curriculum, permetteva di trascorrere un periodo di stage all’estero.
Ed infatti eccomi qua, di nuovo in partenza. Ad agosto farò ritorno in Francia. Questa volta sarò la corrispondete italiana per EuR@dioNantes, un’emittente radio francese che ospita ogni anno una ventina di tirocinanti da tutta l’Unione Europea e li addestra al lavoro del giornalista facendo fare loro, allo stesso tempo, un’ esperienza nell’industria radiofonica.
Lo stage avrà una durata di sei mesi, dopo di che dovrei dedicarmi alla stesura della mia tesi magistrale che potrei scrivere da qualsiasi parte del globo.

Quando apro il mio portafoglio e vedo una carta d’identità italiana, un codice fiscale danese ed un permesso lavorativo inglese, mi domando quanto sia ancora lecito definirmi italiana, se non quando mi metto ai fornelli. Fa sorridere come mi senta così orgogliosamente francese con il mio cappello nuovo di pacca comprato da Lafayette, ma anche inglese quando sfoggio gli occhiali vintage che ho comprato con la mia prima busta paga in Portobello Road, o ancora, così danese quando atterro ad Orio al Serio con i miei buffi stivaletti da folletto nordico.

A oggi dunque, so che il titolo del prossimo capitolo della mia colonna sonora sarà in francese, ma non ho idea né di quali né di quante canzoni conterrà. Non conosco le persone né gli stati d'animo con cui siederò ad ascoltare le mie canzoni. E soprattutto, non so se ci sarà mai un capitolo successivo.
Credo il mio andare da A a B sia destinato a finire, o per lo meno a rallentare ed arriverà il momento in cui non mi porrò più la domanda “E tra sei mesi, dove sarò?”. Come l’uomo primitivo abbandonò il nomadismo millenni fa, in favore di una vita stabile, probabilmente arriverà il momento in cui anche io mi vorrò “sistemare”, come si dice, prima o poi. Suona naif credere di essere per sempre liberi di partire non appena se ne senta la voglia o il bisogno, poiché sia la società sia le relazioni impongono un certo grado di stabilità.
Tuttavia non si disperino quelli che, come me, hanno visto nel movimento il centro focale della propria giovinezza, perché hanno una fedele compagna, capace di sopravvivere alla deriva statica dei corpi: la musica.
Infatti, che decida di tornare a casa, di darci un taglio con tutto questo andare, oppure no, basterà una lieve pressione sul play e in attimo, trasportata su un magico tappeto di note, potrò volare indietro nel tempo. Come rapita da un’impalpabile e fugace sinfonia di emozioni sarò trasportata nei luoghi in cui ho vissuto. Come immersa in ricordi ancora caldi, sarò sommersa da quegli odori e sensazioni che ritmicamente hanno segnato la mia giovinezza. Tutto questo per qualche intenso minuto, giusto il tempo di un'esecuzione.


-Music is the art form more nigh to tears and memory-
[La musica è la forma d’arte più vicina alle lacrime e alla memoria]

O.Wilde

E.