Stasera è la mia serata di libertà. Ci sono altre coppie della mia età alla
festa di Tom. Jim ha portato la moglie Trine, Alejandro è con Silvia. Io sono
contento così, ho voglia di una serata per conto mio e un po’ di gente attorno.
Sono appena arrivato, ma l’atmosfera festosa sembra sia già a buon punto. La
sala è colma di gente vestita nei modi più strambi. Tutti cercano di somigliare
a personaggi famosi degli anni 80. C’è una coppia di punk, Alejandro vestito da
Miami vice, Trine stretta in un paio di leggings rosa shocking. Io ho tenuto un
profilo basso, e siccome non ce la faccio a travestirmi eccessivamente, ho
optato per una camicia larga in stile giamaicano e dei jeans chiari. Conosco
circa un terzo della gente che c’è nella stanza, in pratica tutti gli
anglofoni: Jim e moglie, Graham che stasera si è messo a fare il deejay, Frank
che per fare il solito bastian contrario si è messo una tutina attillata anni
‘70 con tanto di petto villoso posticcio.
Poi ci sono un sacco di quelli che credo essere italiani o forse spagnoli,
osservandoli anche alla luce soffusa, non è difficile notare che quello che li
lega a Tom è la passione per i tatuaggi. Sono ancora freddino e la schiena mi
fa malissimo, preferisco restare vicino alla finestra a fumare e a parlare con
un ragazzo italiano. La popolazione maschile supera di gran lunga quella
femminile. Un paio di ragazze danesi scatenate si dimenano attorno a Tom che
pare godersi la sua festa.
Sono già al mio terzo bicchiere di gin tonic ed è meglio mi dia una
calmata. La gente inizia a rollare canne e lo so che appena me ne offriranno
una sarà la fine. La cucina è sovraffollata e devo sgomitare per raggiungere il
lavabo e servirmi un bicchiere d’acqua. Ecco, ora sono circondato dai
non-anglofoni. Voci alte, allegre, assolutamente incomprensibili. Ci sono i
tatuati e c’è il ragazzo italiano con cui parlavo prima, che si intrattiene con
un’ islandese. Fa un po’ il cascamorto, butta lì qualche complimento facile, ma
si vede che non ne è del tutto convinto. Allora approfitto della loro
conversazione in inglese per intervenire e sentirmi meno isolato: “Ma quanti
siete qui?-dico rivolgendomi a lui- Mi sento in minoranza!” Il ragazzo sorride
e ribatte in inglese “Ma no, noi italiani siamo solo tre, il resto sono
argentini e spagnoli.” Poi una voce femminile, più in là, nel corridoio gli
rivolge una domanda nella sua lingua madre. Una brunetta carina vuole sapere se
può aprire la bottiglia di vino che ha portato. Io le indico il vino in scatola
che sto bevendo mentre me ne servo un altro bicchiere. Lei fa una faccia
disgustata: “No thanks.” Ride e prende il cavatappi. Rido anche io, e penso
“questi italiani fanno sempre gli schizzinosi quando si tratta di vino o di
cibo”. Però ha ragione questo vino è disgustoso. “Nonostante sia il secondo
bicchiere, non mi sono ancora abituato, non so perché continuo a berlo.”
“Al terzo vedrai, non sentirai più nulla”
“Piacere Sean” rispondo.
Lei sorride e se ne va. Io riprendo a parlare della mia Irlanda con il
piccolo ragazzo italiano.
Quando torno in sala, molta gente se n’è già andata. Non ho voglia di
parlare di football con gli altri del bar stasera, così evito Jim, e gli
preferisco Graham che stasera sta rollando pessime canne a catena e conosce
tutte le canzoni che passa il suo Ipod. Anche io sono abbastanza ferrato sulla
musica anni 80 e mi fa piacere ripercorrere i vecchi tempi commentando la
scaletta musicale con lui. D’un tratto mi accorgo che la brunetta del vino è
seduta appena dietro di me, sul divano. Sorseggia il suo vino rosso e guarda la
gente ballare battendo lo stivale a ritmo sul parquet. Non sembra annoiata,
piuttosto assorta in non so quali pensieri mentre s’intrattiene giocando con le
zip sopra il ginocchio dei suoi fuseau metallari. Ormai la marijuana ha
allentato le briglie e mischiata al gin e al vino scadente cavalca il mio
desiderio di avvicinarla. Così, approfittando del momento, mi allungo verso di
lei e tento di aprirle una delle cerniere che ha sulle gambe. Ma lei ha la mano
pronta e blocca la mia, prima che possa completare il sabotaggio. Poi,
finalmente, leva lo sguardo. Io resto impietrito non so se per i suoi occhi o
per l’essermi reso conto di quello che stavo facendo. Non è arrabbiata, ma
accavalla subito le gambe e si tira un po’ indietro. Io faccio un sorriso
rassicurante. Non ci voglio provare, era solo un gioco. Le passo la canna
malamente rollata da Graham che non si cura di noi e rivolge lo sguardo in
contemplazioni alle casse dello stereo canticchiando.
Poi parte The tide is high di Blondie, adoro il suo ritmo reggae e mi
avvicino agli altri che ballano, lei mi segue. Tom la afferra non appena gli è
a tiro e la porta a sé. Lei si lascia trascinare, poi si allontana e inizia a
canticchiare. “ She has a great voice” dico a Graham senza toglierle gli occhi
di dosso. “She has a great voice”
ripeto per darle l’occasione di sentirmi. Questa volta lei si gira e mi
sorride. “ Una volta cantavo ” fa in tempo a rispondere, prima che Tom la riprenda
per mano e le faccia fare un paio di giravolte sgraziate. Il fumo e l’alcol
leniscono il dolore alla schiena mentre amplificano i miei desideri. Ma lei non
è roba mia. Avrà si e no 23 anni. Tom spinge il ballo ad un livello più
esplicito, le accarezza le braccia e i fianchi, poi la stringe da dietro. Lei
lo lascia fare, poco coinvolta e così svogliatamente sexy. Sono geloso, li
guardo e vorrei maledettamente essere al posto di Tom. Ma su, via, è la sua
festa, è giusto così. “Non è roba per me” ripeto e tiro un altro po’ di fumo.
Ma anche lei adesso continua a rivolgermi certe occhiate indiscrete che fanno
riemergere in me il desiderio di avvicinarla. Così mentre balla da sola torno
alla ribalta. Le fisso le gambe. Le piccole zip, che ora sono aperte, lasciano
intravedere una piccola sezione della sua pelle chiara. Mi avvicino per
sferrare un secondo attacco. “Che fai- grida sfuggendo al contatto – ora me le
chiudi perché te ne vai?” Anche lei ora è più disinibita e si lascia andare ad
un sorriso quasi lascivo. Passano pochi secondi, in cui mi passano per la mente
pensieri inconfessabili. Ci guardiamo con complicità. Poi ritorno in me e con
la scusa di versarmi da bere torno a distanza di sicurezza.
Com’è possibile, negli anni 80 probabilmente non era ancora nata eppure
quella maglietta nera, i capelli cotonati tenuti di lato e il trucco scuro la
rendano una dolce Robert Smith al femminile. Beh, e poi, e poi ci sono quei
pantaloni attillati che le segnano tutte le curve, che mi fanno male dentro
quando penso che avrò circa quindici anni più di lei.
Sono andati via tutti, siamo pochi reduci. Da una mezz’ora è arrivata però
una ragazza groenlandese che ballando si struscia su ogni essere vivente. E’ un
bel po’ sbronza. Prende anche la mia brunetta e la fa ballare giusto il tempo
di una canzone per poi tornare dall’argentino che ha ben altro da
offrirle. “Pare tu abbia ampia
scelta stasera.” Le dico.
“Mmm…not really” risponde scettica.
Ormai resto solo per lei, la festa sta scemando e a dire il vero non so
nemmeno se mi faccia del bene rimanere lì a bere e a fumare davanti a Tom che
se la spupazza. Ho una moglie e un bimbo di un anno e mezzo, ma me la merito
ogni tanto una serata d’evasione. Voglio fingere di essere libero, non solo
sentimentalmente, ma mentalmente soprattutto. Si stasera si, mi voglio perdere
per lei. Non durerà molto, ma da un paio di ore mi sento vivo. E’ la prima
volta dopo l’incidente. Non c’è bisogno che succeda niente, è tutto nella mia
testa e un po’ nella sua, se vuole, chissà.
Quando mi sveglio la festa è finita. Nessuno balla più, lo stereo tace. Tom
sonnecchia sulla sedia e della brunetta non c’è traccia. Trovo a fatica il
numero del taxi che dopo pochi minuti sento accostare sotto casa di Tom. Gli
batto una mano sulla spalla e me ne vado nella mattina umida di una domenica d’inverno. Mi dispiace di non aver potuto salutare
la mia inarrivabile brunetta, ma me ne vado col sorriso, confortato del fatto
che per lo meno nemmeno Tom l’abbia avuta.
...the death of the party came as no surprise
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