Tuesday, 7 February 2012

Death of a party

 

Stasera è la mia serata di libertà. Ci sono altre coppie della mia età alla festa di Tom. Jim ha portato la moglie Trine, Alejandro è con Silvia. Io sono contento così, ho voglia di una serata per conto mio e un po’ di gente attorno. Sono appena arrivato, ma l’atmosfera festosa sembra sia già a buon punto. La sala è colma di gente vestita nei modi più strambi. Tutti cercano di somigliare a personaggi famosi degli anni 80. C’è una coppia di punk, Alejandro vestito da Miami vice, Trine stretta in un paio di leggings rosa shocking. Io ho tenuto un profilo basso, e siccome non ce la faccio a travestirmi eccessivamente, ho optato per una camicia larga in stile giamaicano e dei jeans chiari. Conosco circa un terzo della gente che c’è nella stanza, in pratica tutti gli anglofoni: Jim e moglie, Graham che stasera si è messo a fare il deejay, Frank che per fare il solito bastian contrario si è messo una tutina attillata anni ‘70 con tanto di petto villoso posticcio.

Poi ci sono un sacco di quelli che credo essere italiani o forse spagnoli, osservandoli anche alla luce soffusa, non è difficile notare che quello che li lega a Tom è la passione per i tatuaggi. Sono ancora freddino e la schiena mi fa malissimo, preferisco restare vicino alla finestra a fumare e a parlare con un ragazzo italiano. La popolazione maschile supera di gran lunga quella femminile. Un paio di ragazze danesi scatenate si dimenano attorno a Tom che pare godersi la sua festa.



Sono già al mio terzo bicchiere di gin tonic ed è meglio mi dia una calmata. La gente inizia a rollare canne e lo so che appena me ne offriranno una sarà la fine. La cucina è sovraffollata e devo sgomitare per raggiungere il lavabo e servirmi un bicchiere d’acqua. Ecco, ora sono circondato dai non-anglofoni. Voci alte, allegre, assolutamente incomprensibili. Ci sono i tatuati e c’è il ragazzo italiano con cui parlavo prima, che si intrattiene con un’ islandese. Fa un po’ il cascamorto, butta lì qualche complimento facile, ma si vede che non ne è del tutto convinto. Allora approfitto della loro conversazione in inglese per intervenire e sentirmi meno isolato: “Ma quanti siete qui?-dico rivolgendomi a lui- Mi sento in minoranza!” Il ragazzo sorride e ribatte in inglese “Ma no, noi italiani siamo solo tre, il resto sono argentini e spagnoli.” Poi una voce femminile, più in là, nel corridoio gli rivolge una domanda nella sua lingua madre. Una brunetta carina vuole sapere se può aprire la bottiglia di vino che ha portato. Io le indico il vino in scatola che sto bevendo mentre me ne servo un altro bicchiere. Lei fa una faccia disgustata: “No thanks.” Ride e prende il cavatappi. Rido anche io, e penso “questi italiani fanno sempre gli schizzinosi quando si tratta di vino o di cibo”. Però ha ragione questo vino è disgustoso. “Nonostante sia il secondo bicchiere, non mi sono ancora abituato, non so perché continuo a berlo.”

“Al terzo vedrai, non sentirai più nulla”

“Piacere Sean” rispondo.

Lei sorride e se ne va. Io riprendo a parlare della mia Irlanda con il piccolo ragazzo italiano.



Quando torno in sala, molta gente se n’è già andata. Non ho voglia di parlare di football con gli altri del bar stasera, così evito Jim, e gli preferisco Graham che stasera sta rollando pessime canne a catena e conosce tutte le canzoni che passa il suo Ipod. Anche io sono abbastanza ferrato sulla musica anni 80 e mi fa piacere ripercorrere i vecchi tempi commentando la scaletta musicale con lui. D’un tratto mi accorgo che la brunetta del vino è seduta appena dietro di me, sul divano. Sorseggia il suo vino rosso e guarda la gente ballare battendo lo stivale a ritmo sul parquet. Non sembra annoiata, piuttosto assorta in non so quali pensieri mentre s’intrattiene giocando con le zip sopra il ginocchio dei suoi fuseau metallari. Ormai la marijuana ha allentato le briglie e mischiata al gin e al vino scadente cavalca il mio desiderio di avvicinarla. Così, approfittando del momento, mi allungo verso di lei e tento di aprirle una delle cerniere che ha sulle gambe. Ma lei ha la mano pronta e blocca la mia, prima che possa completare il sabotaggio. Poi, finalmente, leva lo sguardo. Io resto impietrito non so se per i suoi occhi o per l’essermi reso conto di quello che stavo facendo. Non è arrabbiata, ma accavalla subito le gambe e si tira un po’ indietro. Io faccio un sorriso rassicurante. Non ci voglio provare, era solo un gioco. Le passo la canna malamente rollata da Graham che non si cura di noi e rivolge lo sguardo in contemplazioni alle casse dello stereo canticchiando.

Poi parte The tide is high di Blondie, adoro il suo ritmo reggae e mi avvicino agli altri che ballano, lei mi segue. Tom la afferra non appena gli è a tiro e la porta a sé. Lei si lascia trascinare, poi si allontana e inizia a canticchiare. “ She has a great voice” dico a Graham senza toglierle gli occhi di dosso. “She has  a great voice” ripeto per darle l’occasione di sentirmi. Questa volta lei si gira e mi sorride. “ Una volta cantavo ” fa in tempo a rispondere, prima che Tom la riprenda per mano e le faccia fare un paio di giravolte sgraziate. Il fumo e l’alcol leniscono il dolore alla schiena mentre amplificano i miei desideri. Ma lei non è roba mia. Avrà si e no 23 anni. Tom spinge il ballo ad un livello più esplicito, le accarezza le braccia e i fianchi, poi la stringe da dietro. Lei lo lascia fare, poco coinvolta e così svogliatamente sexy. Sono geloso, li guardo e vorrei maledettamente essere al posto di Tom. Ma su, via, è la sua festa, è giusto così. “Non è roba per me” ripeto e tiro un altro po’ di fumo. Ma anche lei adesso continua a rivolgermi certe occhiate indiscrete che fanno riemergere in me il desiderio di avvicinarla. Così mentre balla da sola torno alla ribalta. Le fisso le gambe. Le piccole zip, che ora sono aperte, lasciano intravedere una piccola sezione della sua pelle chiara. Mi avvicino per sferrare un secondo attacco. “Che fai- grida sfuggendo al contatto – ora me le chiudi perché te ne vai?” Anche lei ora è più disinibita e si lascia andare ad un sorriso quasi lascivo. Passano pochi secondi, in cui mi passano per la mente pensieri inconfessabili. Ci guardiamo con complicità. Poi ritorno in me e con la scusa di versarmi da bere torno a distanza di sicurezza.

Com’è possibile, negli anni 80 probabilmente non era ancora nata eppure quella maglietta nera, i capelli cotonati tenuti di lato e il trucco scuro la rendano una dolce Robert Smith al femminile. Beh, e poi, e poi ci sono quei pantaloni attillati che le segnano tutte le curve, che mi fanno male dentro quando penso che avrò circa quindici anni più di lei.



Sono andati via tutti, siamo pochi reduci. Da una mezz’ora è arrivata però una ragazza groenlandese che ballando si struscia su ogni essere vivente. E’ un bel po’ sbronza. Prende anche la mia brunetta e la fa ballare giusto il tempo di una canzone per poi tornare dall’argentino che ha ben altro da offrirle.  “Pare tu abbia ampia scelta stasera.” Le dico.

“Mmm…not really” risponde scettica.

Ormai resto solo per lei, la festa sta scemando e a dire il vero non so nemmeno se mi faccia del bene rimanere lì a bere e a fumare davanti a Tom che se la spupazza. Ho una moglie e un bimbo di un anno e mezzo, ma me la merito ogni tanto una serata d’evasione. Voglio fingere di essere libero, non solo sentimentalmente, ma mentalmente soprattutto. Si stasera si, mi voglio perdere per lei. Non durerà molto, ma da un paio di ore mi sento vivo. E’ la prima volta dopo l’incidente. Non c’è bisogno che succeda niente, è tutto nella mia testa e un po’ nella sua, se vuole, chissà.



Quando mi sveglio la festa è finita. Nessuno balla più, lo stereo tace. Tom sonnecchia sulla sedia e della brunetta non c’è traccia. Trovo a fatica il numero del taxi che dopo pochi minuti sento accostare sotto casa di Tom. Gli batto una mano sulla spalla e me ne vado nella mattina umida di una domenica d’inverno.  Mi dispiace di non aver potuto salutare la mia inarrivabile brunetta, ma me ne vado col sorriso, confortato del fatto che per lo meno nemmeno Tom l’abbia avuta. 

...the death of the party came as no surprise

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